sabato 3 aprile 2010

PETROLIO E ATOMO: UN OBAMA SEMPRE PIU'... JOHN MCCAIN


Mio pezzo su Liberal di oggi:

E ORA LA CASA BIANCA COPIA IL PIANO DI MCCAIN
Dopo il nucleare, anche la trivellazione al largo delle coste per cercare nuovo petrolio

Così l’America di Obama trivellerà i propri fondali marini alla ricerca di petrolio. Non lungo la costa pacifica, ma lungo buona parte di quella atlantica, e nel Golfo del Messico. La speranza, solo parzialmente confessata, è di aumentare l’offerta di petrolio facendone scendere il prezzo, per una volta senza dover comprare la collaborazione di qualche discutibile regime mediorientale. E magari anche di darsi una mossa a fronte dell’attivismo degli altri protagonisti della scacchiera mondiale (basti pensare agli accordi della Cina con il Venezuela di Chavez e con il regime cubano di Castro).
Per la seconda volta, Obama ha tradito le aspettative dei “verdi” ed ha sposato la politica energetica dei repubblicani. Durante la campagna elettorale del 2008, era stato il suo avversario John McCain a proporre di por fine alla moratoria che dal 1982 vietava di trivellare i fondali al largo delle coste statunitensi per sfruttare nuovi giacimenti di petrolio. Fu il primo momento dall’inizio della campagna elettorale in cui McCain riuscì a “scaldare i cuori” dello zoccolo duro repubblicano, mentre Obama inizialmente sottovalutò la popolarità di una simile proposta, snobbandola apertamente.
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Di seguito, in esclusiva per i lettori di JEFFERSON, una versione ampliata:

“Se trivellando al largo delle nostre coste potessimo risolvere il nostro problema, allora sarei favorevole. Ma il problema è questo: noi deteniamo appena il 3% delle riserve di petrolio mondiali ad oggi conosciute, e ne consumiamo il 25%”. Questa la sua posizione a fine luglio. Ma anche tra gli elettori democratici la proposta di McCain risultò talmente popolare che pochi giorni dopo, all’inizio di agosto, Obama si vide costretto a stemperare la sua contrarietà, dicendosi disponibile ad un superamento della moratoria purché ben limitato e ricompreso in un più ampio piano energetico. Nel frattempo, però, la questione veniva messa ai voti al Congresso, ed il candidato democratico si trovò invischiato nella opposizione di gran parte dei parlamentari del suo partito; mentre i deputati repubblicani, per la prima volta galvanizzati da una sortita del loro candidato, occupavano fisicamente l’aula (un inusuale happening che dalle nostre parti potrebbe definirsi “pannelliano”) per protestare contro la decisione della Presidente della Camera Nancy Pelosi di rimandare a dopo la pausa estiva il voto sull’abrogazione della moratoria.
Nel frattempo, si teneva la convention repubblicana di St. Paul, dove McCain, tra i cori osannanti “drill, baby, drill” (trivella, ragazzo, trivella) annunciava di aver scelto come vice la giovane Sarah Palin, allora semisconosciuta, ma subito apprezzatissima dalla “base”, la quale, da governatrice dell’Alaska che è uno degli stati che sarebbero stati maggiormente interessati dalle nuove trivellazioni, suscitò ovazioni proclamando: “I nostri avversari ripetono continuamente che le trivellazioni non risolveranno i problemi energetici dell’America, come se non lo sapessimo già; ma il fatto che le trivellazioni non risolvano il problema non dev’essere un pretesto per non fare niente”.
Nel settembre del 2008, la maggioranza democratica alla Camera votò una (assai) parziale abrogazione della moratoria, consentendo le trivellazioni purché ad almeno cinquanta miglia (80 Km) dalla costa; ma appena una settimana più tardi, avvedutisi del fatto che quel compromesso sapeva di “vorrei, ma non posso” e dava l’idea di una impacciata rincorsa delle posizioni avversarie, i deputati democratici si arresero e annunciarono che la moratoria, in scadenza alla fine del mese, per la prima volta non sarebbe stata rinnovata, rimettendo ogni decisione nelle mani del prossimo presidente.
Il quale ha ora preso posizione sposando definitivamente questo punto del programma repubblicano in ambito di energia.

Le ragioni di questa sortita sono facilmente intuibili. Con l’approvazione della riforma del sistema sanitario, Obama ha conquistato un successo epocale, ma ha anche consumato una fatale rottura con l’opinione pubblica moderata. Il Presidente ha rivendicato di aver compiuto un passo avanti nella realizzazione dell’american dream paragonabile alle leggi che negli anni Sessanta posero fine alla segregazione razziale, ma le rilevazioni demoscopiche di questi giorni lasciano intendere che la maggioranza degli elettori non considera la riforma in questi termini. Secondo un recente sondaggio commissionato dalla CNN, il 56% degli elettori è contrario all’ “ObamaCare” e solo il 42% è favorevole; secondo la Gallup, i contrari sarebbero il 50%, ed i favorevoli il 47%. Per Rasmussen, il 54% degli elettori vuole che la riforma venga subito abrogata, mentre solo il 42% si vede con sfavore questa ipotesi.

Che la politica energetica rappresentasse il fronte sul quale Obama intendeva arginare la prevedibile emorragia di consensi al centro, lo si era capito a metà febbraio, quando il presidente aveva scioccato l’America e il mondo con l’annuncio di finanziamenti federali alla costruzione di nuove centrali nucleari, altra proposta che in campagna elettorale era stata sostenuta dal suo avversario, da lui snobbata. In un discorso tenuto in Missouri il 18 giugno 2008, soprannominato “dichiarazione d’indipendenza energetica”, John McCain aveva proposto la realizzazione di quarantacinque nuovi reattori nucleari entro il 2030 (attualmente negli USA ce ne sono 104 – e in Europa 197).
Ora, dopo aver sposato il programma di McCain sul nucleare, Obama ha rincarato la dose rilanciando l’ “offshore drilling”. Lo ha fatto sottolineando che si tratta di “una fase di sperimentazione”, che non risolve certo il problema ma serve solo a puntellare la transizione verso la terra promessa green economy della quale l’attuale inquilino della Casa Bianca non cessa di professarsi volonteroso costruttore. Ma nemmeno in questo il piano di Obama differisce granché dalla proposta che in campagna elettorale era sostenuta dall’avversario repubblicano. Il principale consulente di McCain sulla politica energetica era James Woolsey, già direttore della CIA durante il primo mandato presidenziale di Bill Clinton, poi membro del Project for a New American Century, quindi animatore del think-tank Set America Free (“Liberiamo l’America” – dalla dipendenza dal petrolio, s’intende). In base ai consigli di Woolsey, il senatore dell’Arizona promise che se eletto alla Casa Bianca si sarebbe battuto per ridurre le emissioni inquinanti entro il 2012 - anno in cui spirerà il Protocollo di Kyoto, ma anche il mandato del 44esimo presidente – al livello in cui si trovavano nel 2005, ed entro il 2020 a quello del 1990, il tutto con un programma di disincentivi all’utilizzo delle energie “tradizionali”, e di incentivi a quelle alternative, a cominciare proprio da quella nucleare. Per l’appunto.

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