martedì 20 febbraio 2018

THAT'S MALL, FOLKS

La prima volta che visitai gli Stati Uniti, una delle esperienze che mi presero più alla sprovvista fu la visita a uno shopping mall.Un piccolo choc. Era il 1990, e in Italia non avevo mai visto nulla di simile. Esistevano dei piccoli centri commerciali, ma avevano ben poco a che vedere con quell’immenso complesso di negozi interamente al chiuso, su più piani. Lì invece, mi spiegarono, era quanto di più normale e diffuso. Ed era vero: il mall era una istituzione essenziale per il modo di vivere degli americani. Solo in quell’anno, ne erano stati inaugurati ben 19.
Di lì a due anni, l’antropologo francese Marc Augé avrebbe coniato il neologismo “non-luogo” per definire (e deprecare) le strutture consumistiche che attraggono moltitudini di individui che le frequentano senza relazionarsi. Da allora, nel quarto di secolo trascorso, gli intellettuali europei e buona parte di quelli americani non hanno fatto che deprecare la natura e l’impatto sociale di realtà come quella del mall. È fisiologico, quindi, che gli stessi intellettuali stiano ora leggendo nella crisi del mall un sintomo della sua imminente fine.
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