mercoledì 26 marzo 2014

100 ANNI DI MUSICA "NEWYORKER" (SECONDO IL NYMAG)

Tre hurrà per l'ultima trovata del mitico settimanale New York (anzi: ora è quindicinale - ed evidentemente è proprio vero che lo è diventato concentrando le risorse sull'edizione web).
Una meraviglia: uno speciale ("100 anni, 100 canzoni, 100 serate") sulla musica a New York City nell'ultimo secolo.
C'è praticamente tutto.
C'è il pezzone  di un fuoriclasse come Jody Rosen, tutto da leggere:
"Naturalmente non esiste una "musica di New York": solo musiche, al plurale. Basta considerare la gamma di canzoni che potrebbero tutte essere ragionevolmente considerate l'"inno di New York" per antonomasia: Sidewalks of New York,” “Give My Regards to Broadway,” “Manhattan,” “Take the ‘A’ Train,” “On Broadway,” “Spanish Harlem,” “Positively 4th Street,” “Across 110th Street,” “Walk on the Wild Side,” “Shattered,” “il tema di New York, New York,” “No Sleep Till Brooklyn,” “Empire State of Mind.”Considerate inoltre il gran numero di generi e sottogeneri, culture e sottoculture musicali, che sono nati, o almeno fioriti nella loro forma più spettacolare, a New York: il ragtime di Tin Pan Alley, il jazz-blues di Harlem, gli "standard" delle canzoni di Broadway, il bebop, il doo-wop, il Brill Building pop, il folk da caffetteria, la salsa, la disco, il punk, la New Wave, la No Wave,l'hip-hop, il bachata-pop - solo per cominciare". 
C'è poi il gioco grafico delle copertine virtuali, una per ogni epoca: 

C'è anche la mappa di tutti i locali che hanno fatto la storia della musica newyorkese: il Cotton Club, il Fillmore East, lo Studio 54, il Roxy... 

E soprattutto c'è (sulla propaggine online Vulture) una corposa "Enciclopedia della musica pop newyorkese" in forma di slideshow, firmata da Rosen e da altri cinque collaboratori del NYMag. Una carrellata di un secolo con immagini bellissime e citazioni da antologia.

E infine, la chicca: la playlist. I "100 brani" selezionati da Rosen su Spotify per illustrare in audio il percorso di questa "enciclopedia", ascoltando quello che sul sito si può leggere e guardare. 
Questa, quando le riviste erano (solo) di carta, ve la sareste sognata.

In realtà la playlist, come è naturale in questa dimensione, è in perpetua evoluzione (i 100 brani sono già diventati 137); e "Non pretende di essere niente di definitivo o di particolarmente rappresentativo", precisa Rosen. 
Ed è vero: seguendo la traccia di quella "enciclopedia" (che passa in rassegna autori e generi più che singoli brani) ognuno potrebbe farsi la sua. Ecco la mia, di "playlist newyorkese lunga un secolo". 

In ogni caso l'effetto - ad ascoltarle tutte d'un fiato - è impressionante. Provare per credere.
 (E chi non è su Spotify con noi, peste lo colga).

mercoledì 5 marzo 2014

TEXAS VOTERS CLUB


Due cose sono accadute ieri in Texas.
Innanzitutto, la superstar del country Brad Paisley ha suonato al Rodeo di Houston, la più importante sagra western del mondo.In secondo luogo, sia il partito Repubblicano che quello Democratico hanno tenuto le primarie per selezionare i propri candidati alle elezioni di mezzo termine del prossimo novembre, sia a livello federale (Senato) che locale (parlamento texano, Governatore, vicegovernatore, altre cariche statali).
Può darsi che per molti texani il primo evento sia stato più interessante del secondo, ma a Washington l’attenzione per le primarie era molto elevata, perché il peso del Lone Star State sta crescendo prepotentemente da anni sia sul piano economico (è lì che si stanno creando la maggior parte dei nuovi posti di lavoro) che su quello politico (la gente si trasferisce dove c’è lavoro; la popolazione aumenta, e così anche il peso elettorale dello Stato, soprattutto nell’elezione presidenziale).

Normalmente l’attenzione sarebbe andata quasi solo alle primarie repubblicane, che in Texas da almeno un ventennio sono un po’ come quelle democratiche in California o in Illinois: contano più dell’elezione generale.

Ma quest’anno doveva essere un po’ diverso. Se qualche anno fa capitava addirittura di leggere che il sistema politico Texano è tripartitico nel senso che il Tea Party sarebbe lì un terzo partito oltre al GOP e ai Dem, e questi ultimi faticavano anche solo mantenere il secondo posto, più recentemente si è molto parlato di un tramonto del Tea Party anche nel Lone Star State, e addirittura di una possibilità per i Dem – principalmente grazie alle nuove tendenze demografiche ed in particolare alla preponderanza della componente latinoamericana nella popolazione di quello che sta ormai divenendo un “majority-minority State”, uno Stato in cui una minoranza etnica si trova ad essere la maggioranza relativa - di trasformare il Texas in uno stato “viola”, in bilico cioè tra il rosso repubblicano e il blu democratico.
Ebbene: il voto di ieri ha drasticamente ridimensionato quei pronostici.
Innanzitutto non c’è stata la debacle del Tea Party, che in Texas ha un nome e un cognome: quelli di Ted Cruz, l’ultraconservatore di origini cubane che nel 2012 fu eletto al Senato di Washington dopo aver sconfitto alle primarie il favorito dell’establishment del partito (quel David Dewhurtz che ieri è stato costretto al ballottaggio per ricandidarsi a vicegovernatore - carica alla quale in Texas, forse l’unico Stato in cui conta qualcosa, si viene eletti autonomamente, non in ticket con il governatore). Dei candidati appoggiati da Cruz (che da molti è tenuto d’occhio come potenziale candidato dell’ala conservatrice del GOP alle primarie presidenziali del 2016, così come del resto il governatore uscente Rick Perry la cui scelta di cedere la mano dopo ben 14 anni di regno è vista come possibile sintomo di azzardare un secondo tentativo dopo la figuraccia del 2012) tutti quelli in lizza per una riconferma hanno vinto le primarie, mentre di quelli che sfidavano un parlamentare uscente (impresa più ardua) quattro hanno fatto centro, spodestando un senatore e tre deputati. Tra gli esponenti dell’ala più moderata ed establishmentarian del GOP l’hanno spuntata il senatore John Cornyn, il cui sfidante non aveva però dalla sua il movimento dei Tea Party, ed il deputato Pete Sessions; quasi tutti gli altri o hanno perso o vanno al ballottaggio, in alcuni casi in posizione sfavorita (come accade al vicegovernatore Dewhurtz contro Dan Patrick, un altro leader del Tea Party texano).
Anche nelle primarie per la candidatura a governatore c’è stata qualche delusione per chi sperava in novità clamorose. Che il frontrunner repubblicano Greg Abbott fosse destinato ad un buon risultato, già si sapeva. Abbott è il procuratore generale dello Stato, il che gli garantisce un’ottima visibilità. Inoltre, da ragazzo fu vittima di un incidente che lo rese paraplegico. La sua sedia a rotelle, esibita ed ostentata (spesso assieme ad un fucile), è il suo argomento principale: la sua storia è quella di un combattente, un sopravvissuto, un uomo forte che ha saputo far fronte alle avversità. E oltretutto ha una moglie latinoamericana. Una bella storia, un personaggio interessante.

Però nello schierargli contro Wendy Davis i Democratici parevano aver trovato un personaggio altrettanto interessante: graziosa, molto bionda, senatrice nel parlamento locale di Austin, fattasi notare ( e osannare) dai media nazionali, e persino da quelli esteri, mettendo in atto uno strenuo ostruzionismo per ostacolare l’approvazione di una legge antiabortista.
Niente da fare: ieri, dati definitivi alla mano, le persone che si sono recate alle urne per appoggiare la candidatura di Abbott sono state quasi il triplo di quelle che si sono presentate a votare per la Davis; inoltre, quest’ultima ha visto andare oltre il 20% dei voti allo sfidante democratico Ray Madrigal (che l’ha addirittura battuta in sei contee del Sud dello Stato), mentre i tre antagonisti di Abbott messi assieme non hanno raggiunto il 10%.
Performance molto modesta quindi, sia per la Davis che per il partito nel suo complesso: soprattutto se si considera che sulla campagna “Turn Texas Blue” il Team Obama sta ostentando un massiccio investimento, principalmente tramite la apposita organizzazione “Battleground Texas”.
A novembre per non sfigurare alla Davis basterebbe anche solo una sconfitta risicata; per ora, però, non sembra destinata nemmeno a quella: Abbott nei sondaggi recenti la stacca di una buona decina di punti percentuali.
Infine, ieri si è registrato l’esordio di un nuovo Bush: George P., figlio dell’ex governatore della Florida Jeb (e quindi nipote di due ex presidenti), che ha spuntato facilmente la candidatura a Land Commissioner dopo un anno di campagna elettorale. Forse sentiremo ancora parlare di lui, non solo in Texas



Uscito su U.S. Insider- anche tradotto in inglese